Le due caratteristiche che permettono ad un gruppo di persone di trasformarsi in una squadra sono quelle di poter definire dei ruoli e delle norme.
In questo breve articolo rifletteremo insieme su come spesso la gestione dei ruoli in una squadra possa essere molto complessa, soprattutto perché ci porta ad affrontare alcuni preconcetti.
In psicologia dello sport si definisce il ruolo come una serie di comportamenti richiesti o che ci si aspetta da una persona che occupa una determinata posizione nel gruppo, per esempio da un allenatore ci aspettiamo che sappia insegnare ma anche organizzare e sapersi relazionare.

Esistono due tipologie di ruoli diversi, i ruoli formali che sono definiti dalla natura e dalla struttura dell’organizzazione (presidente, direttore generale, magazziniere) e i ruoli informali che nascono nelle interazioni tra i membri della squadra (leader, mediatore).
Un particolare ruolo informale è quello dell’enforcer, cioè l’elemento da cui il gruppo si aspetta che protegga i propri compagni da eventuali approcci eccessivamente aggressivi degli avversari.
Le dinamiche principali nella gestione dei ruoli in una squadra sono la chiarezza, l’accettazione e il conflitto.

Definire con estrema chiarezza quale sia il ruolo di un giocatore e consentirgli di accettarlo gli permetterà di migliorare la sua efficacia allontanando così il pericolo dell’ambiguità del ruolo che rappresenta spesso la più grande fonte di scontro nelle squadre.
Spesso gli allenatori nel tentativo di prevenire l’eventuale conflittualità all’interno di una squadra tendono a non definire con chiarezza il ruolo che hanno in mente per ogni singolo elemento, creando invece una confusione che porterà ad inevitabili incomprensioni.
L’esempio di uno dei più grandi allenatori di basket universitario americano, coach Dean Smith di North Carolina, ci aiuta a definire ancora meglio la necessità di chiarezza nella gestione dei ruoli.
Egli era solito scegliere ad inizio stagione quali sarebbero stati i titolari e i sostituti con grande chiarezza, definendo quella che lui chiamò “second unit” a cui fece sviluppare un senso di orgoglio nel dare respiro ai titolari senza che la squadra perdesse eventuali vantaggi o spingendola anche a ridurre degli svantaggi.

Questa gestione dei ruoli in una squadra  contrasta il preconcetto secondo cui sia pericoloso definire con troppa chiarezza titolari e “panchinari”, rischiando di demotivare questi ultimi fino a farli accomodare nel ruolo di rincalzo senza cercare più di migliorare le loro prestazioni per insidiare il posto dei titolari percepiti così come inarrivabili.
In realtà l’esperienza di Dean Smith ci insegna come definizione ed accettazione applicate insieme siano la forza della definizione del ruolo, portando ogni elemento a sviluppare un senso di orgoglio anche nel ricoprire un compito apparentemente non determinante.

Spesso anche il conflitto può essere centrale nella definizione dei ruoli, uno dei più soliti è la situazione in cui l’allenatore rimane “intrappolato nelle sue convinzioni” non riconoscendo il miglioramento tecnico di un giocatore che è arrivato a poter ricoprire un ruolo meglio del giocatore che lo ricopre in quel momento.
In caso il giocatore dovesse protestare per questo riconoscimento di ruolo l’allenatore dovrebbe essere bravo a mettersi in discussione senza aver paura di perdere la propria autorevolezza perché, se gestito con chiarezza, quello potrebbe essere invece un momento di grande rinforzo del suo ruolo di leader